top of page
  • Instagram

Himeji & Osaka

  • Tommi
  • 22 ago
  • Tempo di lettura: 4 min

📍 Location: Kansai Region


ree

L'Airone Bianco di Himeji ci cattura con la sua eleganza e storia. La carne di Kobe é sopravvalutata, il suo museo della carpenteria tutt'altro. Osaka é tutta una luce, un divertimento e per la prima volta vediamo dei giapponesi rilassati.


The White Heron of Himeji captures us with its elegance and history. Kobe beef is overrated, but its carpentry museum is anything but. Osaka is all lights and fun, and for the first time we see Japanese people relaxing.



Sveglia senza sveglia, finalmente. Dopo giorni di levatacce disumane, oggi partiamo con calma da Hiroshima alla volta di Himeji, a bordo di uno Shinkansen che sembra uscito da un film di fantascienza. Sedili comodi, velocità da navicella spaziale e, come sempre, puntualità chirurgica.

Arriviamo a Himeji e già dalla stazione lo spettacolo è assicurato: il viale principale è un vero e proprio cannocchiale che incornicia il castello sullo sfondo. Impossibile non fermarsi qualche secondo a contemplare la scena.

Il castello di Himeji, o Airone Bianco come è conosciuto qui, è una meraviglia: struttura originale, non una ricostruzione, con una storia che affonda le radici nel XIV secolo. Sopravvissuto a incendi, terremoti e persino ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, oggi è Patrimonio UNESCO e uno degli esempi più puri di architettura feudale giapponese. Passeggiare tra i suoi saloni e i corridoi di legno immensi è come viaggiare indietro nel tempo. Grazie alla visita al Myoryuji di Kanazawa (il famoso “Tempio Ninja”), riconosciamo molte delle astuzie difensive e trappole nascoste integrate nella struttura: un genio dell’ingegneria militare.

Dopo un pranzo veloce a base di sushi da supermercato, ma attenzione, in Giappone anche il sushi del 7-Eleven ti fa rivalutare certe cene in Occidente, torniamo in stazione per un altro spostamento. Destinazione: Kobe.

E qui arriva il grande momento. Quello che aspettavo da giorni. No, non sto parlando della famosa carne di Kobe. Ma della visita al Carpentry Museum. Ora, per chi non lo sapesse, questo è il paradiso terrestre per un ingegnere con un debole per il legno e le giunzioni giapponesi. Francesca dimostra tutta la sua pazienza e, con un sorriso indulgente, mi lascia libero di dare sfogo alle mie manie. Io cerco di spiegarle ogni singolo oggetto, leggiamo tutte le didascalie, facciamo tutte le attività interattive: sì, compreso annusare i trucioli dei sette alberi più usati nella tradizione costruttiva giapponese. Povera. Direi che oggi si è guadagnata un bel regalo.

Il clou è stato smontare e rimontare un modellino a incastro completamente in legno: un esercizio che io affronto con concentrazione maniacale e Francesca riprende con un video degno di un documentario. La visita dura due ore abbondanti; altri avrebbero chiuso la pratica in trenta minuti. Ma cosa volete farci: quando sei nel tuo elemento, il tempo vola.

Lasciamo Kobe e arriviamo a Osaka. E qui… shock culturale. Osaka è un’altra cosa rispetto a Tokyo, Kyoto o Kanazawa. Qui è caos puro: profumi che arrivano da ogni parte, insegne luminose, giapponesi che sorridono e urlano. (Aspetta: urlano? In Giappone? Ma cosa sta succedendo?).

L'apice è Dotonbori. Un fiume di ristorantini, insegne giganti, una ruota panoramica che passa letteralmente sopra un palazzo, e, garantisco, una barca che naviga con gente vestita da animali che applaude ai pedoni sulla riva. Aiuto.

Stremati, torniamo in hotel. Giornata intensa, divertente e piena di sorprese. Io ringrazio ancora Francesca per la pazienza infinita davanti ai miei deliri da museo del legno. Domani ci aspetta Osaka sul serio e ho la sensazione che non ci annoieremo.

E infatti. La giornata comincia con un pensiero fisso: mancano ancora dei regali da portare a casa. Dopo una breve incursione nell’infinito underground della stazione di Namba ,chilometri di gallerie sotterranee popolate da negozi, ristoranti e spazi ristoro che potrebbero sostenere una città intera, decidiamo di puntare a nord. Obiettivo: Osaka Station.

Se pensate che Gare du Nord a Parigi o Roma Termini siano affollate, vi sbagliate di grosso. Qui transitano circa 2,3 milioni di persone al giorno. Sì, al giorno. Le mappe bidimensionali sono praticamente inutili: solo la stazione si sviluppa su sette piani, circondata da grattacieli di trenta piani ciascuno, anch’essi pieni di negozi e ristoranti. Una piccola metropoli dentro la metropoli.

Il nostro primo obiettivo è una libreria. Peccato che ci vogliano quaranta minuti solo per trovarla: tra corridoi, scale mobili e mappe incomprensibili sembra una caccia al tesoro. Ma la vera missione è un’altra: la valigia di Pikachu. Francesca l’ha vista, la vuole, la deve avere. Gialla, lucida, bellissima. Dopo un’altra lunga esplorazione approdiamo in un negozio (Don Quijote) che ha di tutto: brugole per caldaie, intimo aggressivo, scatole di tè e, ovviamente, valigie Pokémon. L’esperienza è surreale, amplificata da una dozzina di musichette in contemporanea e totem parlanti che dispensano informazioni in giapponese. Un’esperienza da fare… una volta nella vita. Una. Ovviamente non compriamo nulla.

In men che non si dica sono già le 16. «Moglie, serriamo i ranghi: alle 17 dobbiamo essere all’Expo»

Arriviamo puntuali. L’impatto è impressionante: organizzazione giapponese impeccabile, controlli sistematici e un enorme anello di legno che circonda l’intero parco. Ci saliamo sopra e, mentre il sole tramonta, Osaka ci regala uno dei panorami più suggestivi della giornata.

Dopo un breve giro ci rendiamo conto che per ogni padiglione ci sono code dalle due alle tre ore. Benissimo. Ma attenzione: il Padiglione del Giappone decide di aprire le porte alle 19 a chiunque si presenti, fino ad esaurimento scorte. Che facciamo, andiamo all’Expo senza vedere nemmeno un padiglione? Eh no! Ci mettiamo in coda.

Intorno a noi orde di giapponesi perfettamente equipaggiati: sgabellini pieghevoli, tupperware pieni di cibo, borracce ghiacciate. Noi, ovviamente, niente. Dopo dieci minuti finiamo seduti per terra, tra gli sguardi di disapprovazione generale. Per fortuna, dopo circa un’ora, entriamo. Il padiglione è bello e curato, ma l’esposizione lascia un po’ a desiderare: si chiude con un macchinario che dovrebbe stampare in 3D uno sgabello fatto di plastica e alghe. Bah. Nota comica: due poveri figuranti costretti a fingere di azionare il braccio meccanico davanti ai visitatori, con un entusiasmo da ufficio postale italiano.

Quando usciamo, dopo due ore, fame e sete ci mordono. Il nostro salvatore? L’unico kombini del parco dove letteralmente saccheggiamo il reparto sushi e gelati. Ceniamo sereni e, tra un’installazione Pokémon e l’immancabile selfie con Pikachu, torniamo in hotel stanchi ma felici di questa esperienza.



Commenti


Principale scontornata.png

Ti serve qualcosa dal Giappone? Scrivici:

Need something from Japan? Write us:

info@ftadventures.com 

(email not working please write us a comment)

Vuoi seguire il nostro viaggio? Inserisci la tua email e iscriviti!


Want to follow our journey? Enter your email and subscribe!

bottom of page