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Koyasan

  • Immagine del redattore: Franci
    Franci
  • 24 ago
  • Tempo di lettura: 4 min

📍 Location: Koyasan


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Trovare la pace dei sensi é possibile. Essere a Koyosan in uno Shukubo dotato di onsen e saké aiuta molto. La strada per arrivarci è lunga, ma ne vale la pena.


Finding peace of mind is possible. Being in Koyosan at a Shukubo equipped with onsen and sake helps a lot. The road to get there is long, but it is worth it.







La mattina inizia con calma, forse troppa. Un errore madornale: sottovalutiamo la frequenza dei treni e ci rendiamo presto conto che non è esattamente la giornata ideale per improvvisare (NdT Vedi a fare i tirchi e  prendere il biglietto con i regionali!)

A pranzo ci fermiamo nella non ridente Hashimoto, che più che una città sembra un esperimento militare della guerra fredda: strade deserte, silenzi inquietanti, palazzi fatiscenti. Ci sistemiamo su una panchina della stazione con il nostro pranzo al sacco, tanto dobbiamo aspettare la coincidenza, l’ennesima in questo viaggio della speranza per Koyasan.

Sul secondo treno mi arriva il colpo basso: una colica da glutine, improvvisa e dolorosa (la prima da quando siamo in Giappone). Vai a sapere cosa sia stato, un mochi o forse un budino ingurgitato in 8 secondi la sera prima all’EXPO. Non lo sapremo mai ma la situazione si fa critica. Inoltre pago pegno per la mia parsimonia: il treno regionale non solo non ha i bagni ma fa una fermata ogni 2km in stazioni in mezzo alla foresta sulla montagna. Ogni speranza sembrava vana, quando al culmine della sopportazione, Tommaso, come sempre interessato alla soluzione, si alza ed esplora silenziosamente lo spazio tra i vagoni chiuso da porte a vetri e ritorna a sedersi annuendo. Recupera il sacchetto con gli avanzi del pranzo, lo svuota e me lo porge con due salviettine rinfrescanti: “Queste ti serviranno.” Non so se ridere o piangere, ma ammetto che la sua soluzione geniale mi distrae e mi permette di andare avanti.

Il treno intanto si arrampica nel bosco su una salita ripida, fermandosi su banchine disperse tra i monti, che più che stazioni sembrano apparizioni. Finalmente arriviamo all’ultima fermata: sono salva.  La funicolare Nankai è impressionante: affronta un dislivello di circa 400m con una pendenza quasi al 60% (NdT Per capirci la rampa di un box è al 20%). Da vertigini.

Dopo un breve tragitto in bus, Koyasan si apre davanti a noi. Questo antico centro monastico, fondato da Kūkai nel IX secolo, è un cuore spirituale incastonato tra foreste di cedri millenari, dove cultura, natura e fede convivono tra templi secolari, mausolei e Okunoin, luogo di riposo di Kūkai stesso. E’ cosparso di tanti piccoli templi che offrono ai visitatori vitto e alloggio in modo da far conoscere le loro abitudini (sono detti Shukubo).

Al nostro, il Daimyō-in, ci accoglie un silenzio sacro. Un monaco ci accompagna alla nostra stanza affacciata su un intimo giardino zen; sediamo, sorseggiamo del tè tra sguardi compiaciuti (il biscottino glutinoso viene concesso al marito). Pace assoluta.

Riprendiamo fiato e andiamo a visitare il Banryū-tei (il “giardino dei dragoni guardiani”) nel tempio Kongōbu-ji dove si respira un’atmosfera intensa. È qui che, nel 1595, Toyotomi Hidetsugu, nipote di Toyotomi Hideyoshi, fu costretto a commettere seppuku, poiché sospettato di tradimento. Il giardino roccioso, costruito con granito proveniente da Shikoku e sabbia bianca di Kyoto, raffigura dragoni emergenti da un mare di nuvole, come protettori dell’intero complesso ed è il più grande del Giappone.

Ultima tappa del circuito: Kōbuku-ji, un tempio immenso e denso di armonia, con una pagoda in legno dipinta di rosso al cui interno sono conservate le statue di Buddah. Qui ci fermiamo in silenzio, respirando l’aria carica di serenità.

Tornando al nostro Shukubo, decido di prendere una “scorciatoia”. Il marito è scettico: “Franci, ma dove diavolo ci stai portando?!” Attraversiamo un bosco di cipressi antichi e, quando usciamo, ci troviamo di fronte a un curioso branco di cerbiatti selvatici: immobili un secondo, poi, all’unisono, orecchie rizzate, scappano via nel bosco. Pura emozione. A differenza dei cervi di Nara, questi non sono addomesticati.

Poco prima della cena, rigorosamente vegetariana, Tommaso si assenta per una doccia veloce. I minuti scorrono, del marito non c’è più traccia. A un certo punto comincio a pensare che “vado a farmi una doccia” sia il nuovo “esco a prendere le sigarette”. Finalmente rientra: viso disteso e pace dei sensi. Mi confida di aver provato l’onsen del posto che era deserto. Non posso essere da meno e vado a sperimentarlo anche io: vascona di acqua bollente termale dove riposare le membra stanche dalla giornata. Una favola.

Prima di andare a dormire in questo posto paradisiaco dove regna il silenzio assoluto, ci concediamo un sakè vista giardino, accompagnati soltanto dal rumore delle carpe, dei grilli e di una ranocchietta .

Il mattino seguente assistiamo al tempio alle orazioni mattutine dei monaci e dopo una colazione del tutto particolare ci dirigiamo al Kongobu-ji Okuno-in. E’ un cimitero immenso, antico che possiede anche il mausoleo di Kobo Daishi. Tutto circondato da alberi millenari. Passeggiare qui è proprio una esperienza mistica. Il ritorno a Osaka è decisamente più veloce dell’andata e scorre tranquillo. Abbiamo ancora qualche compera da fare, ma non appena mettiamo piede a una delle stazioni principali con tutta la sua calca, già rimpiangiamo la quiete di Koyasan.

Come ultima serata giapponese, sotto la tettoia dell’Osaka station, al suono di un pianoforte (e di un temporale) ci godiamo due aperol spritz per imprimere nella memoria queste settimane trascorse. Indimenticabili.



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