Kyoto Vol. II
- Tommi
- 14 ago
- Tempo di lettura: 3 min
📍 Location: Kyoto

La corsa contro il tempo per conoscere Kyoto si fa sempre più sfidante. Ci vorrebbero giornate da 40h. Possibilmente senza afa.
The race against time to get to know Kyoto is becoming increasingly challenging. It would take 40-hour days. Preferably without the heat.
Kyoto ha troppe cose da vedere. Dobbiamo intensificare gli forzi. Sveglia alle 6:50 per prendere il bus tattico. La sveglia suona si, ma solo la mia. Quella di Francesca è in sciopero, ha deciso di scaricarsi nella notte... molto convenientemente.
Parte subito un tentativo di negoziazione:
F: “Ma se prendessimo il bus dopo?”
T: “Siamo già in ritardo". Spalanco le tende.
Il Ryoan-ji ci aspetta. Creato alla fine del XV secolo, è il più famoso giardino di rocce del Giappone, composto da 15 pietre disposte su ghiaia rastrellata. È studiato in modo che da qualsiasi punto di osservazione non si possano vedere tutte. Arriviamo a pochi minuti dall'apertura, senza un turista in vista. Ci sediamo davanti al giardino zen del tempio, immersi nei soli rumori del bosco. La ghiaia, pettinata in onde perfette, avvolge le pietre immobili che custodiscono storie antiche. Non lo avrei mai detto, ma invita davvero alla meditazione. Per dieci minuti restiamo lì, fermi, lasciando che ogni veduta ci riveli un nuovo dettaglio, come se il giardino sussurrasse segreti a chi ha la pazienza di ascoltare. Un'esperienza davvero unica.
Sono le 8:40. Lo show deve continuare. In venti minuti apre il Kinkaku-ji, il celebre Padiglione d’Oro. Qui lo scenario è diverso: turisti a battaglioni che scendono dai bus, ciabatte, grida, gente che suona campane sacre e viene fermata dalle guardie. Il tempio dorato si pone davanti a noi, il suo riflesso nello stagno si fonde con pini e rocce in un’armonia senza tempo. L’acqua immobile trasforma tutto in un’immagine eterna, dove persino il brusio attorno a noi scompare per qualche istante.
La temperatura inizia ad essere davvero alta e, per evitare il collasso da caldo, ci rifugiamo nella tea house del giardino. Dolcetto di zucchero e fagioli rossi, matcha freddo con vista: perfezione assoluta.
Scoccano le 10:00: autobus + tram = combo perfetta. Arriviamo alla stazione di Arashiyama in direzione Foresta di Bamboo e Tenryu-Ji. Sappiamo già cosa ci aspetta: turisti a frotte, caldo asfissiante e ristoratori agguerriti che ti puntano come falchi. La strada per raggiungerli è al sole e ci arriviamo già parecchio sudati (domani vado a prendermi quel giubbotto con i ventilatori integrati). La foresta è un luogo senza tempo e basta sollevare lo sguardo per osservare le fronde e ritrovare un po' di equilibrio nel fiume di gente che serpeggia sotto.
Al Tenryu-ji, ultimo in programma della giornata, il giardino e il tempio sono un capolavoro di armonia, eleganza e posizione: sembra un posto immutato da secoli.
Ormai mi sono anche abituato a camminare a piedi nudi per i templi: i calzini sapientemente portati in borsa da Francesca, lì sono rimasti.
A mezzogiorno abbiamo già spuntato tutto quello che la guida suggeriva. Bravissimi. Ma perché fermarsi? Decidiamo di puntare ai giardini della Villa Imperiale Katsura.
Ritorniamo alla stazione grondanti di sudore (tema ricorrente, lo so, ma non renderà mai abbastanza), tram con temperatura da frigo per tiramisù (so già che la pagheremo), scambio tram-bus e pausa pranzo gitano: onigiri e tè freddo su un muretto, sotto lo sguardo perplesso dei giapponesi.
Arriviamo alla Villa. Per entrare dobbiamo esibire entrambi i passaporti, compilare due moduli, indossare un badge "visitor" e infilarci al collo un'audioguida pesantissima (ndF: raga ho fatto meno controlli a Malpensa).
Il giardino però è un capolavoro: ad ogni passo la vista cambia, come un teatro vivente. Si passa dal mare, alla montagna, alla campagna, fermandosi nei padiglioni dove un tempo si beveva tè. Una vera emozione e penso sia il luogo più bello visto fin ora nel viaggio: da tornarci in tutte le stagioni per ammirarlo nuovamente.
Il percorso dalla villa alla stazione è una prova di sopravvivenza: una pioggerellina ci illude con la promessa di frescura… poveri illusi. L’asfalto si bagna, spunta il sole e in un attimo siamo dentro una sauna a cielo aperto. Letteralmente cotti al vapore, arriviamo al treno-frigo dove Francesca subisce lo shock termico. All'uscita, ormai in modalità zombie, si scola tre litri d’acqua e divora una scatola di noccioline in 15 minuti netti: record olimpico di recupero post-disidratazione.
Fortunatamente ci riprendiamo e per la cena torniamo dai nostri amici dell’izakaya di ieri: cucina spettacolare, sakè eccellente, chiacchiere con la gente del quartiere. La vera Kyoto.





























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