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Matsumoto

  • Tommi
  • 9 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

📍 Location: Matsumoto



Legno antico sotto i piedi, aroma di spezzatino misterioso, il clangore di tamburi di Kabuki e il croccante perfetto di un pollo fritto. Matsumoto si racconta con tutti i sensi e noi ci siamo fatti coinvolgere in ogni singolo assaggio.


Antique wood beneath our feet, the aroma of mysterious stew, the clanging of Kabuki drums, and the perfect crispness of fried chicken. Matsumoto tells its story through all the senses, and we were captivated by every single taste.



La nostra giornata comincia con la solita levataccia delle 6 del mattino. Unica consolazione? Sentire i tre gong del Tempio Senso-ji mentre lasciamo Tokyo. Un saluto poetico e inaspettatamente emozionante.

In poco più di due ore di treno raggiungiamo Matsumoto e lungo il tragitto riusciamo anche a salutare per l’ultima volta un Monte Fuji timido, che si nasconde tra le montagne come un ospite che non vuole farsi notare troppo.


Matsumoto si rivela una bellissima sorpresa: giovane, vivace, piena di energia… e soprattutto asciutta. Dopo giorni a sudare come se fossimo in una sauna tropicale, ci sembra quasi un miraggio. Ci incamminiamo verso il castello e ci troviamo davanti ad un vero e proprio gioiello costruito alla fine del XVI secolo: è uno dei pochi castelli originali rimasti intatti in Giappone. Non una ricostruzione, ma il vero edificio, conservato con cura e orgoglio. All'ingresso scopriamo che possiamo entrare: come entrare? Nel castello? Si entra, rigorosamente senza scarpe, ma Francesca è costretta a girare scalza come una carmelitana perché ha dimenticato i calzini, nonostante me lo abbia detto per almeno sedici volte nei giorni prima.

Sette piani di castello interamente in legno e, ovviamente, mi perdo a guardare ogni singola connessione intagliata secondo la tradizione giapponese e costringo Francesca a sentirsi delle spiegazioni su come mai sia stata fatta così e a cosa servono quegli altri elementi.... mi rendo conto che per un non addetto ai lavori è come sentire la spiegazione dei nuovi pezzi della Folletto, pazienza.


Dopo una visita approfondita al castello e al giardino, ci addentriamo nelle vie storiche del centro e ci imbattiamo in un ristorantino specializzato in carne di cavallo. All’ingresso, una cameriera ci accoglie tenendo in mano una piccola statua lignea di un cavallino, facendo chiaramente capire, con sorrisi e gesti teatrali, che qui si mangia cavallo. Apprezziamo la premura, ma personalmente lo mangio da quando avevo quattro anni. Il fatto che lo comunichino con così tanta enfasi, però, ci fa sospettare che qualche turista più animal-friendly l’abbia scoperto troppo tardi… con esiti probabilmente traumatici.


Il menù è un enigma a più livelli e dopo varie interpretazioni artistiche e qualche “va bene, proviamo”, mi ritrovo davanti una ciotola con: riso bianco, cipollotto tritato, tuorlo d’uovo e... una selezione di interiora non meglio identificate (fegato, polmone, forse cervello?). Non per tutti, diciamo.

Delizioso. A Francesca va un po’ meglio: le arriva una barca di riso accompagnata da una di quelle salsiere ottocentesche, traboccante di uno spezzatino non meglio identificato. Incrociamo le dita che non ci sia finita dentro della farina.

Visto il pranzo dietetico decidiamo di concederci un minuto di riposo stile anaconda che ha appena ingoiato un daino nella foresta. In breve tempo ci riprendiamo e a metà pomeriggio visitiamo la Former Kaichi School, un edificio in stile pseudo-western (giyōfū). Scopriamo che quando l'hanno costruita alla fine dell'ottocento, i costruttori giapponesi non sapevano nulla delle tecniche di costruzione occidentale e quindi le pietre in facciata, sono in realtà assi di legno dipinte (e i Liguri muti).

Sulle luci del tramonto ci troviamo ad assistere nel cortile del castello ad uno spettacolo di Kabuki: un'esperienza unica e molto emozionante anche se noi non abbiamo capito assolutamente nulla.


Decidiamo di bere una birra, con la classica scusa del “Sai, abbiamo mangiato tanto a pranzo… stasera saltiamo.” Dopo aver passato in rassegna tutti i ristoranti e birrifici di Matsumoto (troppo pieni, troppo cari o troppo chiusi), finiamo nel piazzale della stazione, in un localino semplice che serve birre e snack, frequentato esclusivamente da giapponesi. Atmosfera autentica, ci piace subito.

Iniziamo con moderazione: qualche pomodorino e un po’ di polpo, giusto per “attivare la masticazione”. Poi, inevitabilmente, si deraglia: finisco per ordinare quattro pezzi di pollo in doppia frittura, croccanti come se li avessero passati nell’olio con le benedizioni del tempio locale.

La serata si conclude con questo scambio illuminante:

F: Ma non hanno le ossa?

T: No, è petto di pollo. Sanissimo.


Buonanotte




 
 
 

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